Lusignano: fin dai tempi più antichi un’area privilegiata per l’agricoltura
Lusignano, attualmente frazione di Albenga, vanta un’importante tradizione agricola, legata addirittura alle sue origini. Il toponimo infatti è riconducibile alla presenza di fondi rustici di vaste proporzioni e che sfruttavano la fertile piana ingauna.
I primi insediamenti trovati sono di epoca romana ma alcuni storici locali presumono che Lusignano fosse già abitata precedentemente per la sua posizione rialzata che difendeva l’abitato dalle piene del Centa e per la presenza del rio Carpaneto, fondamentale per l’approvvigionamento dell’acqua. Così come accaduto per numerosi altri centri del primo entroterra albenganese, è molto probabile che anche Lusignano, seppur manchino le evidenze archeologiche in merito, abbia continuato ad essere popolato in epoca medievale; proprio in virtù della sua posizione privilegiata si presume che Lusignano abbia goduto di una certa tranquillità in questo travagliato periodo storico. Testimonianza indiretta ne è la parrocchiale dedicata a Santa Margherita d’Antiochia certamente antecedente al XIII secolo. Altre sporadiche notizie dell’esistenza di questo paese arrivano dagli Statuti di Albenga del 1288 in cui ci sono vari riferimenti al paese, che viene chiamato Luxignanum. Verso la metà del XIV secolo si hanno notizie certe che Lusignano, assieme a San Fedele, Villanova, Ligo, Marta e Bossoleto erano amministrativamente sotto il controllo del quartiere di San Siro della città di Albenga.
Spesso il nome di Lusignano è stato associato alle belle abitazioni private che qui sono state edificate tra il XV secolo al XIX secolo. Nel 1797, con l’avvento della Repubblica Ligure, dopo l’occupazione napoleonica, Lusignano, insieme a San Fedele formò una municipalità separata da Albenga; i due centri ritorneranno sotto l’ente amministrativo albenganese solo con l’annessione al Primo Impero francese nel 1804. Tra gli eventi più significati legati alla storia del paese non va dimenticato il terremoto del 1887 che portò morte e distruzioni in molti paesi del Ponente e distrusse anche alcuni torri di Albenga ma risparmiò Lusignano; per questa ragione per diversi decenni il 23 febbraio, anniversario del terremoto, il paese faceva una grande festa.
Durante la seconda guerra mondiale proprio sulle colline alle spalle dell’abitato trovarono rifugio molti partigiani che sembra nascondessero nelle grotte della zona armi e munizioni. Sono molti i tragici episodi legati a questo periodo ancora vivi nei racconti delle famiglie di Lusignano.
Il declino di questa villa è legato all’ascesa della vicina fornace Perseghini, infatti nel 1820 il nuovo vescovo di Albenga, Carmelo Cordiviola, adducendo a pretesto proprio l’aria malsana legata ai lavori della fornace, chiese ed ottenne dal governo di poter accedere ad un ampio e dismesso convento in Alassio dove aprì poi un altro seminario.
Nel 1921 l’abitazione fu venduta dal vescovo Angelo Cambiaso che con il ricavato acquistò la cartiera di Verzi-Loano; tuttavia durante la seconda guerra mondiale è stata riadattata a seminario.
Questa fornace, una delle due di proprietà della famiglia Perseghini nella zona di Albenga, fu all’avanguardia in tutta Italia per il suo funzionamento con il metodo del forno Hoffmann che ne faceva un gioiello di tecnica. Essa lavorò continuando la sua ascesa fino agli anni ’70 quando le nuove tecnologie ed i nuovi materiali edili ne provocarono la crisi e poi la definitiva chiusura, trasformando l’edificio in un ricovero per i senzatetto. I registri delle attività economiche sono ancora conservati, a testimonianza della forte attività della fabbrica.
Nel 1997, la Fornace inizia una nuova vita grazie ad un intervento di recupero edilizio che la trasforma in un complesso residenziale, dalle forme molto simili a quelle di un tempo, con la conservazione dei forni e di una parte della ciminiera che costituiscono un vero e proprio “monumento industriale”.
Si narra infatti che un bandito in fuga venne freddato mentre si trovava sul muro che segnava il confine tra i territori appartenenti al vescovo e quelli appartenenti al marchese. In sua memoria venne eretto il monumento di forma antropomorfa, così da ricordare tale evento alle future generazioni.
Curiosità: la contessa di Genlis, tra spionaggio e intrighi di corte
Capita che a volte le piccole realtà, come quella di Lusignano, intersechino la “grande storia” narrata sui libri. È questo il caso della Contessa di Gelis, che nel XIX secolo fu spesso ospite in paese. La contessa ebbe una vita a dir poco avventurosa: nota come scrittrice e pedagogista, dotata di un’educazione liberale, espose la sua teoria pedagogica nel trattato Adéle e Theodore, romanzo scritto proprio a Lusignano. Qui descrive la sua vita tra il paese e la vicina Albenga, parlando anche delle giovani donne, per lo più pastorelle, che incontrava e che erano solite ornarsi i capelli con i fiori di campo e, anche se umili, mostravano un portamento molto elegante.
La contessa nacque col nome di Stéphanie-Félicité du Crest da una famiglia nobile della borgognona: figlia del marchese di Saint-Aubin, quando questi morì, dopo aver dilapidato il patrimonio di famiglia, si trovò in povertà con la madre e i fratelli. La marchesa riuscì subito a introdurre la figlia nei salotti bene del tempo e attraverso la mediazione di Madame de Montesson, Félicité conobbe e si sposò con Charles-Alexis Brûlart, conte di Genlis, figlioccio e ricco erede del vecchio ministro Louis Philogène Brûlart de Sillery, marchese di Puisieulx. Madame de Montesson la fece accogliere nel 1772 come dama di compagnia della duchessa di Chartres, nuora del duca d’Orléans, mentre il marito fu promosso capitano delle guardie del duca. Sembra che Félicité non abbia esitato a cedere alla corte del Duca di Chartres, mantenendo comunque rapporti buoni con la duchessa e occupandosi dell’istruzione delle due piccole figlie della coppia. Félicité de Genlis scrisse sull’educazione dei bambini, racconti morali e novelle storiche; fu amica, tra gli altri, di Rousseau, di Charles-Pierre Claret de Fleurieu, di Bernardin de Saint-Pierre, di Talleyrand, e di Juliette Récamier.
Durante la Rivoluzione francese fuggì in Inghilterra mentre il marito fu ghigliottinato: in Inghilterra sposò la figlia Pamela, avuta dal duca di Chartes, con il lord Edward Fitzgerald Nel 1801, Napoleone I l’autorizzò a rientrare in Francia, la impiegò come spia e le accordò uno stipendio a vita.
Visse abbastanza a lungo per avere la soddisfazione di vedere Luigi Filippo, da lei allevato, salire sul trono di Francia.
È sepolta nel cimitero parigino del Père Lachaise.